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Di cosa riempiamo i nostri carrelli?

Settimane fa abbiamo ricevuto la prima direttiva di rimanere a casa e di non uscire, se non per fare la spesa o altre commissioni di primaria necessità. Questo ha generato il panico e mobilitato centinaia di persone che si sono riversate in tarda serata nei supermercati 24h, per la corsa al riempimento di dispense, frigoriferi e congelatori. Ancora oggi le code ai supermercati sono infinite, gli scaffali sempre vuoti e non solo perché gli ingressi sono contingentati e fare la spesa è l’unico motivo per uscire di casa.

Allora è importante chiedersi come mai c’è la corsa alle provviste e sentiamo il bisogno di riempire il frigo di alimenti.

La risposta a queste domande richiede una riflessione più profonda, una presa di consapevolezza più ampia. Il cibo è presente nella nostra vita sin dalla nascita ed è strettamente connesso con le nostre realtà affettive.

Cosa, come e quanto mangiamo, non è solo una mera questione di alimentazione, ma racconta di un nostro modo di sentirci, di rapportarci, di stare bene o male. Quante volte capita che in momenti sereni siamo in grado di rispettare la dieta e non esageriamo con il cibo e invece nei momenti di preoccupazione, di ansia o di paura, non abbiamo fame, saltiamo i pasti oppure al contrario mangiamo molto di più? Questo accade proprio perché l’alimentazione e il mondo affettivo sono strettamente connessi.

Allora il collegamento tra il coronavirus e l’assalto ai supermercati si arricchisce di un significato più profondo.

Il coronavirus ci fa confrontare in primo luogo con la paura del contagio e della malattia e secondariamente con il distanziamento sociale, la scomparsa della nostra routine e l’isolamento dovuti alla quarantena. Si è fermato il lavoro, non ci sono più gli aperitivi con gli amici, le cene con i parenti, la domenica al cinema e l’allenamento in palestra. Ci ritroviamo a fare i conti con un cambiamento obbligato che ci costringe a separarci dalla nostra vita “prima del virus” in cui avevamo mille impegni, mille interessi, mille progetti, per poi ritrovarci seduti sul divano, con la sensazione di aver temporaneamente messo in pausa la nostra vita. È come se in un attimo la realtà fosse cambiata, portandosi dietro tutte le cose che ci rendevano felici. La lontananza che siamo obbligati a vivere, a tutela di noi stessi e delle persone con le quali ci relazionavamo ogni giorno, rischia di confonderci, di portarci fuori strada. Arriviamo a pensare che insieme alla distanza dalle persone a cui vogliamo bene e all’assenza della palestra, del lavoro, dell’andare al ristorante, dell’aperitivo con gli amici, sia sparita anche parte della nostra vita e della nostra vitalità. I nostri rapporti ci permettevano di vivere ed esprimere appieno amore ed amicizia; il lavoro ci faceva sentire validi, attivi, propositivi; la palestra ci faceva sentire impegnati con noi stessi nel prenderci cura del nostro corpo; il ristorante o l’aperitivo con gli amici avevano il potere di trasformare una giornata faticosa e complessa in un momento di svago e di leggerezza. Oggi tutto questo sembra scomparso in una voragine, in un buco nero che inghiotte tutto, lasciandoci la sensazione di essere soli e vuoti. Abbiamo pensato, sbagliando, che l’unica soluzione fosse riempire il vuoto con il cibo.

In quest’ottica allora gli eventi che stiamo vivendo, le notizie con le quali ci bombardano i telegiornali e i mezzi di comunicazione ci allarmano profondamente non solo per la gravità oggettiva dei fatti di cronaca, ma anche per la paura, più o meno consapevole, che questi fatti riattivano in noi la paura di aver perso una parte fondamentale della nostra vita e, con questo, una parte vitale di noi. Quasi come un sistema di protezione automatico, si attiva in noi una difesa che ci porta alla corsa agli approvvigionamenti, a fare scorte come se ci fosse la carestia, a compensare con il cibo. L’essere umano che non si rapporta, sostituisce l’amore con il cibo.

Intuiamo che per risolvere tutto questo la soluzione non è mangiare di più, comprare più cibo o cucinare il piatto più complesso, eppure continuiamo a farlo come se fossimo criceti sulla ruota che gira e dalla quale non sappiamo come scendere, perché se lo facessimo, ci sentiremmo chiusi in una gabbia, dalla quale non sappiamo come uscire.

Allora la soluzione è un’altra.

Se la paura e l’angoscia che viviamo sono la conseguenza di una sensazione di vuoto e di perdita, l’unico modo che abbiamo per far fronte al momento attuale che ci preoccupa e destabilizza non è cedere alla tentazione di comprare e mangiare, come apparente acquisizione di qualcosa che contrasta la perdita, ma è ritrovare quello che può realmente farci sentire pieni e soddisfatti. Tutte le realtà che abbiamo pensato di perdere, l’amore, il lavoro, gli amici, i colleghi, i progetti che volevamo realizzare, nella realtà non sono scomparse, perché sono espressione di una parte di noi che siamo in grado di mantenere viva e esprimere nei rapporti, ricordandoli e continuando oggi a viverli e a farli crescere, in modo nuovo e sicuramente diverso, proteggendo il desiderio che, un domani, torneremo di nuovo a realizzarli dal vivo.

Se ripensiamo ai tanti momenti di cambiamento faticosi della nostra vita, troveremo sempre qualcuno con cui, insieme, abbiamo lottato, abbiamo sperato, abbiamo condiviso e siamo riusciti a superare le tante avversità, la fatica e il dolore. Oggi, in un momento così faticoso, siamo chiamati a ritrovare, in noi stessi e nei rapporti, presenti anche a distanza o ricordati, la possibilità di condividere la situazione e superarla insieme alle persone importanti.

Allora la prospettiva è esattamente inversa: andare a fare la spesa non è più il tentativo di colmare l’assenza, ma la possibilità che il cibo, non come mero alimento materiale ma come possibilità di ricordo e condivisione ad esso legata, possa divenire veicolo per curare e ricordare una nostra parte affettiva e i rapporti significativi della nostra vita. Ad esempio, rifare la ricetta del ciambellone che ci faceva nonna quando eravamo piccoli ci permette di ricordarne l’affetto che riempiva quel dolce; cimentarsi a fare la pizza e mangiare in videochiamata con i nostri più cari amici è la possibilità di ricreare, in modo diverso, la confidenza e il divertimento dello stare insieme; cucinare per la persona che amiamo che si siede a tavola con il sorriso perché vede l’impegno e la dedizione che ci abbiamo messo diventa preambolo per passare insieme una piacevole serata. Sono queste le realtà che desideriamo davvero, perché in realtà non cerchiamo solo la sazietà del corpo ma, soprattutto, la soddisfazione degli affetti che a volte facciamo fatica a vedere, coperti dalla delusione, dalle sofferenze, dalla disillusione. Dalla ricetta del ciambellone di nonna sino ad arrivare all’impegno di cucinare per una persona a noi cara, ciò che ci rende pienamente realizzati, è la possibilità di sentire dentro di noi una realtà di desiderio e la presenza delle persone con cui possiamo scambiare affetti e amore.

Tornare a sentire ed esprimere tutto questo è la possibilità di capire che sono gli affetti, nostri e degli altri, che ci soddisfano davvero.

Bruno Madonna

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