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Svegliarsi la mattina con i raggi caldi del sole che penetrano dalla finestra… Un occhio ancora socchiuso, che rincorre le immagini del sogno di qualche minuto prima, ed uno aperto, che realizza l’inevitabile realtà: è lunedì mattina.

Abbiamo sognato l’arrivo del fine settimana con grande emozione. Seduti davanti al pc dell’ufficio, abbiamo contato i secondi che ci separavano dalle 18:00 del venerdì sera. E poi, all’improvviso, la domenica è finita. Sparita. Andata chissà dove.

Vi siete mai chiesti: come mai viviamo il ritorno al luogo di lavoro in questo modo? «Che domanda sciocca!», penseranno in molti, «E’ normale, no? Durante il weekend ci si diverte, si realizzano sogni, si sta con persone a cui si vuole bene… A lavoro tutto ciò non accade».

E vi siete mai chiesti: come mai? Come mai il nostro lavoro è sempre qualcosa di cui ci dobbiamo accontentare?

Mi spiego meglio.

Tutti noi nasciamo con il desiderio di conoscere l’uomo o la donna dei nostri sogni. Ed in virtù di tal desiderio, per anni andiamo alla ricerca di “quello giusto” e di “quella giusta”. Abbiamo altissime aspettative, lo vogliamo con gli occhi così e la bocca cosà, lo vogliamo dolce, sensibile, romantico, divertente, coraggioso, altruista… Potremmo continuare questo elenco per giorni. Giustamente, stiamo parlando di un rapporto fondamentale, con cui condivideremo tanto tempo insieme, un rapporto che ha il potere di farci stare bene, di farci realizzare tanti sogni nel cassetto, di poter esprimere una parte importante di noi stessi, di dare il massimo per costruire un futuro solido e bello. Questo è l’amore!

E mi chiedo: il lavoro non è tutto questo?

Spesso tendiamo a sottovalutarlo, senza renderci conto che, così come una relazione di coppia, anche il lavoro è il centro in cui confluiscono le nostre capacità, talenti, aspettative, progetti, rapporti umani e tante, tante, tante ore passate a darci da fare. Come se di colpo cancellassimo tutto questo e lo rendessimo unicamente un luogo in cui dobbiamo recarci forzatamente per guadagnare uno stipendio e niente più.

Mi sembra un po’ riduttivo.

Qualche giorno fa, girovagando per social network, mi sono imbattuto in post di un neo-diplomato che poneva ad alcuni suoi giovani colleghi una domanda che recitava pressappoco così: «Mi sapete suggerire un indirizzo di laurea che ti consente di accedere ad un lavoro in cui sei ben pagato?». Seguiva una sfilza di commenti. Alcuni consigliavano all’unisono le classiche facoltà che ti consentono di avere un “lavoro che conta”: ingegneria, economia, etc. Altri suggerivano, più o meno timidamente, di scegliere un indirizzo che accendeva le sue passioni.

Si ritiene che il lavoro non abbia nulla a che fare con le passioni delle persone poiché, in situazioni di crisi economica, si deve accettare così com’è, non si può scegliere, né tantomeno modificare.

Tale concezione, se da un lato ci racconta di un punto di vista realistico, ossia che lo stipendio è innegabilmente un aspetto imprescindibile e caratterizzante il lavoro stesso, dall’altro bistratta una parte altrettanto importante degli esseri umani: il desiderio di svolgere una professione che ci realizzi, di esprimere le capacità di ognuno di noi e di lavorare all’interno di rapporti umani che veicolano interesse, collaborazione, affiatamento, fiducia, crescita reciproca.

Talvolta non riusciamo a ritrovare tutto questo nella quotidianità e ci lamentiamo di un ambiente esterno che non ci comprende e gratifica: le attività sono noiose, vorremmo impostarle in modo diverso ma ce lo impediscono, i nostri colleghi sono aggressivi o invidiosi, il capo non riconosce il nostro contributo… Tuttavia, in risposta a tutto ciò, tendiamo a chiudere gli occhi e a proporzionare ciò che diamo in virtù della stessa realtà esterna da noi percepita. Forse non ci siamo mai soffermati a pensare che se riduciamo l’energia e l’entusiasmo, contribuiamo a plasmare attivamente un lavoro non soddisfacente, non solo perché il capo non ci valorizza, ma anche perché non valorizziamo noi stessi. E ci raccontiamo di una realtà lavorativa aspra ed immodificabile, senza vedere che, portando la rabbia, l’impossibilità e la sfiducia verso gli altri, siamo i primi ad alimentare il divario tra un nostro ideale professionale e quello che viviamo tutti i giorni. Non dimentichiamoci che durante la giornata spendiamo molto più tempo in ufficio piuttosto che con il partner o con gli amici di una vita. Ma se con i secondi ci dedichiamo maggiormente, cercando di soddisfare ogni esigenza e romanticheria, non esitiamo a rivolgere tutta la nostra durezza verso capi e colleghi, degradando un rapporto che ci accompagna per tante ore della giornata a puro disinteresse o conflitto.

Forse allora, accanto al bisogno dello stipendio, dobbiamo lottare attivamente tutti i giorni contro questa nostra parte delusa ed adolescenziale per mantenerci adulti, affettivi e coinvolti nel lavoro.

Se ci pensiamo, anche il principe azzurro deve superare molti ostacoli prima di salvare la donna dei suoi sogni.

Perché non fare altrettanto con il lavoro dei nostri sogni?

– Cristiano Anderlini –

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