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Chi è di scena? Il teatro che non si ferma mai

Se chiudo gli occhi, mi trovo lì. Proprio lì. L’odore penetrante del legno del palco ha sempre significato casa per me; e nel silenzio, sento solo il battito incessante del mio cuore, che sembra uscirmi dal petto nell’attesa che il sipario si apra. Allora, per cercare di tranquillizzarlo, cammino avanti e indietro ripetendomi velocemente le battute, scaldando la voce, e ripercorrendo a mente tutti i movimenti che il mio corpo deve agire in scena. E poi, lo sento. Il suo suono è inconfondibile, arriva penetrante e squarcia il silenzio della platea in attesa di riempirsi. Non ho mai saputo resistere a quel brusìo; ho sempre pensato che l’essenza più profonda del teatro fosse proprio lì, in quei mormorii di chi entra in sala e aspetta che lo spettacolo abbia inizio; in quelle voci trepidanti e gioiose che ti chiamano al rapporto.

In questo momento così triste della storia dell’umanità, mi si stringe il cuore nel ripensare che da un anno a questa parte e chissà ancora per quanto tempo, quel brusìo non abbia trovato più spazio; che i riflettori siano stati spenti e nascosti da un sipario che non può essere aperto.

Il mondo dell’arte e dello spettacolo si è ritrovato ad affrontare una crisi senza precedenti, sopravvivendo a quel mare di rabbia e rancore in cui sembrava potesse solo affogare. In quel doloroso marzo che ha costretto l’Italia intera a un rigido lockdown, si è alzato imperante l’urlo di un settore che non si è mai sentito visto e che non ha mai avuto alcuna forma di tutela da parte dello Stato. Sul web, molti colleghi attori hanno pubblicato video di monologhi muti, recitando senza dar voce alle parole dette e privandosi, per protesta, della propria creatività. E ancora, si sono portate avanti discussioni contro il governo per i vari DPCM che non prendevano in considerazione i lavoratori dello spettacolo. Eppure, quell’urlo cieco e straziante, si è presto scontrato con una forza ancora più potente: quella che non fa perdere l’uomo ma si àncora ai suoi desideri e gli fa ritrovare la strada; quella voce interna che non pronuncia parole vuote bensì vere e piene di significato. Una voce che nasce con l’essere umano e cresce tanto più sarà circondato da persone che lo accolgono e lo amano per quello che è; perché è nei rapporti con gli altri che l’uomo si trasforma e si realizza. Ed il teatro si fa luogo deputato ai rapporti per eccellenza. Credo che proprio alla luce di questa consapevolezza, il settore dello spettacolo abbia finalmente messo fine al silenzio e cominciato a farsi sentire dallo Stato. Lo spettacolo, in qualche modo, ha di nuovo avuto inizio: attori di tutto il mondo hanno letto e recitato brani e poesie su varie piattaforme online; sono stati trasmessi in televisione spettacoli che prima erano ad esclusivo appannaggio dei teatri più importanti; si è dato ampio spazio ai radiodrammi e sono state innumerevoli e meravigliose le occasioni di spettacoli “a domicilio”. Gli artisti hanno finalmente dato voce al desiderio di unirsi in una categoria che li tutelasse come professionisti e che quindi proteggesse la loro arte e creatività, fondando U.N.I.T.A, l’unione nazionale interpreti teatro e audiovisivo.

Il 22 febbraio è nata l’iniziativa “Facciamo luce sul teatro”, con l’invito a pubblicare una foto, un messaggio o un video davanti al proprio teatro, per una sera di nuovo straordinariamente illuminato. Un invito, quindi, ad esserci, dentro e fuori, mantenendo intatta e viva quella nostra luce interna che non ci fa perdere nel buio; la luce della nostra dimensione creativa, intesa come capacità di vedersi e vedere l’altro per quello che è, di sentire, recepire e comunicare, e come inestinguibile peculiarità di crescere e trasformarsi, per crescere e trasformarsi ancora. Perché in fondo, il teatro per etimologia è il luogo da cui si guarda; il luogo in cui l’uomo, sia attore che spettatore, guarda all’altro senza perdere se stesso, ma ritrovandosi sempre di più; è il posto dove il vuoto si fa pieno, il silenzio si fa voce e il buio si tramuta in luce; e anche senza esserci fisicamente, anche se quel brusìo per ora non può riempire come musica la platea e i riflettori bagnare di luce il palco, il teatro è ovunque: è nella scelta che Amleto deve compiere tra l’essere e il non essere, e nella consapevolezza che non c’è cosa migliore che scegliere l’essere; è nella soluzione che Edipo dà alla Sfinge, nell’individuare nell’uomo e nelle sue trasformazioni da bambino, adulto, ad anziano, l’unica risposta possibile; è nel silenzio palpitante di Pinter;  è nella vera vita che i sei personaggi di Pirandello chiedono di vivere; è nelle parole di Shakespeare che scavano dentro e tirano fuori ciò che di più bello abbiamo.

Se chiudo gli occhi sono lì, sul palco, circondata dall’odore del legno e dagli occhi del pubblico che mi chiedono di esserci.

Se apro gli occhi, tutto è ancora con me; perché il teatro, come dimensione creativa dell’uomo, c’è sempre stato e ci sarà sempre, se ci siamo noi. E ci saremo sempre.

Jessica Cortini

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