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Il PIL crolla, aumentano i gay. È questo il titolo dell’articolo che tanto ha fatto scalpore. Sono dati oggettivi, ha risposto qualcuno: il PIL (Prodotto Interno Lordo, indicatore che esprime il livello di produzione di un paese) è in calo, così come sembrerebbe in aumento il numero di persone che si dichiara omosessuale, secondo i dati di 2 diversi studi inglesi e italiani.

Considerazioni che tuttavia non sono bastate a contenere una forte ondata di indignazione, montata principalmente sulla base di due direttrici: politica, per chi ha letto il titolo come il riflesso di alcune recenti campagne mediatiche del governo in carica; economica, per chi si è soffermato ad analizzare la presunta correlazione tra il livello di produzione di beni e servizi in un paese e l’orientamento sessuale di alcuni suoi cittadini. Ma entrambe queste riflessioni, pure interessanti, evidentemente non riescono a spiegare pienamente la forza del clamore suscitato da quel titolo, che ha risuonato per giorni sui principali social network con toni che oltre al rifiuto, in molti casi, esprimevano una rabbia furente nei confronti in pari misura di chi aveva pubblicato l’articolo e del giornalista che l’aveva scritto. Un fatto curioso, in un momento storico in cui si assiste a un continuo bombardamento di notizie di tutti i tipi, senza però che queste suscitino alcun tipo di reazione evidente, o addirittura senza che vi sia altra reazione che l’indifferenza.

La domanda dunque sorge spontanea: c’era davvero un’aggressione in quel titolo del giornale? E di quale natura, per scatenare una reazione di questa portata?

Per provare a dare una risposta minimamente articolata e che non si limiti a ragionamenti superficiali (“era solo un titolo”, “il popolo del web è rancoroso”), bisognerebbe forse cogliere alcuni elementi non immediatamente visibili, soffermandosi per un attimo non solo su quello che il titolo richiamava apertamente (PIL e gay) ma soprattutto su quello che quel titolo proponeva al di là delle parole utilizzate, in maniera latente. Perché l’aggressione di quel titolo (spoiler alla domanda: sì, c’era davvero un’aggressione), non era al PIL o ai gay, ma a qualcosa di molto più profondo, fondamentale: alla realtà dell’essere umano. Una realtà che, a dispetto di chi propone il contrario, non è data dalla somma di tante piccole parti in contrasto tra loro ma da un mondo interno integrato, che rappresenta l’unica possibilità reale di stare bene nel rapporto con l’altro, ovvero di fare bene l’amore.

Nell’articolo, tale realtà veniva storpiata per mezzo di due falsi pensieri spacciati per mere applicazioni razionali: 1) la contrapposizione tra il mondo interno dell’essere umano e la sua realizzazione materiale; 2) il diverso come nemico.

Il senso profondo di associare il calo del PIL all’aumento dei gay, al di là delle parole, è che dichiarare il nostro interesse per la sfera degli affetti, mostrarlo senza nasconderlo, ci porta a perdere le nostre realizzazioni concrete (la carriera, i soldi, la promozione, che tutti insieme contribuiscono a dare vita al famoso PIL, che “cala” appunto). Gli affetti, ci viene detto sottilmente, non sono da esprimere, da vivere. Ma da rifiutare. Per lavorare bene, per crescere nella professione, dichiararsi interessati agli affetti non serve, anzi, si oppone. E bisogna specificare che questo pensiero, che ci propone un essere umano costantemente impegnato a reprimere quella parte di sé che ama, può annidarsi anche in titoli apparentemente eleganti. Scrivere “il PIL sale, aumentano le nascite” non ci renderebbe meno aggressivi, perché anche in questo caso il pensiero latente è di una realtà materiale che guida il mondo interno. Siccome abbiamo più soldi, possiamo fare l’amore. I figli nascono in virtù del nostro saldo di conto corrente. E non è vero.

In continuità con questa falsa rappresentazione seguiva il secondo aspetto del ragionamento. Puntare il dito e la penna contro i gay, così come contro i migranti o gli stranieri, ci suggerisce l’idea che l’essere umano diverso da noi ci è nemico. L’altro essere umano, chiunque egli sia, nel portare la sua diversità in realtà mi aggredisce, fa “calare”, diminuire, la realtà materiale che mi circonda.

E non è vero.

Perché anzi è proprio dall’incontro e dallo scambio con chi è diverso da noi, che parte e si può realizzare il rapporto umano.

Ecco quindi che le classiche argomentazioni di indignazione non colgono il punto: non è un tema di logica (per chi ha cercato analisi statistiche sulla correlazione tra PIL e gay) né di difesa di “gender” (per chi si è lanciato in sperticate dichiarazioni di vicinanza ai famosi gay, trattati quindi al pari di una minoranza etnica).

La realtà delle cose è che i gay non c’entrano, l’attacco riguarda tutti noi. Se non lo capiamo è solo per un motivo, lo stesso che forse ci spiega quella rabbia riversata contro un banale titolo di un giornale: che in realtà anche noi, sotto altre forme apparentemente più educate, pensiamo e viviamo gli stessi pensieri aggressivi del giornalista.

Scandalizzarsi non serve a nulla, se poi siamo i primi a preoccuparci solo della macchina nuova e dell’orologio di ultima generazione (la nostra parte di PIL) e mai di come sta il compagno o la figlia (la nostra parte di affetti). Siamo anche noi giornalisti scissi dalla realtà, se non perdiamo occasione per arrabbiarci con il capo perché la pensa diversamente da me o con il collega perché “fa le cose a modo suo”, trasformando le diversità in aggressioni.

Per questo, fingere di scandalizzarsi e fare arguti commenti sul titolo “non politically correct” non ci aiuterà. Credere nel rapporto tra esseri umani, impegnandosi a crescere ogni giorno insieme al mondo interno di chi è altro da noi, invece sì.

Dott. Mimmo Nesi