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Fare il capo o essere capo

Il capo: ognuno di noi ne ha o ne ha avuto uno, tanto chi lavora in un’azienda più o meno strutturata, tanto chi sceglie la libera professione, perché anche lui, evidentemente, ha un “capo interno”.

Non è facile essere leader, coordinare una, dieci, cento persone con caratteri, motivazioni, desideri, esperienze diverse. Un leader sa bene di non avere scampo: ci sarà sempre qualcuno pronto a lamentarsi di lui.

Ma com’è un “buon capo”?

Il leader autoritario che ricopre solo un ruolo, inteso come titoli, competenze acquisite, comandi, carriera, denaro ma tutti scollegati tra di loro non è un buon capo, “fa il capo”.

Il leader che considera tutti questi fondamentali elementi ma espressi e valorizzati con autorevolezza, con il rapporto umano: è un buon capo, “è un capo”.

Leadership quindi è essere, essere in rapporto con, riconoscere se stessi e quindi riconoscere gli altri, valorizzandone i punti di forza come risorse per l’azienda.

Tutto ciò che realizziamo nella nostra professione, infatti, avviene proprio attraverso il rapporto di cooperazione tra le persone: è solo così che il lavoro produce risultati positivi volti al raggiungimento degli obiettivi aziendali.

Se la relazione è impedita, è il conflitto che blocca la collaborazione e quindi il lavoro. Infatti i conflitti, non intesi unicamente come l’atto di litigare ma anche come silenzi, passività, eccessiva competizione, indifferenza, allontanano dal rapporto umano e, agendo nascostamente, portano alla demotivazione del team. È questa l’espressione della leadership intesa come “fare il capo”.

Dunque un “buon capo” si relaziona con capi, colleghi, collaboratori e clienti, è un esperto di rapporti umani, non solo un organizzatore di piani e progetti.

Allora si ribalta il punto di vista: se il lavoro si congestiona è perché il capo riveste solo un ruolo, ovvero “fa il capo”.

A questo punto dobbiamo interrogarci sulla qualità dei rapporti (familiari, personali, amicali, lavorativi, sociali) che abbiamo vissuto e viviamo e che inevitabilmente incidono sulle nostre modalità di relazionarci, di comunicare affetti, pensieri, azioni e quindi di esprimere la nostra identità e la nostra leadership.

Il capo che non instaura rapporti di buona qualità si difende dietro quel ruolo, assume un atteggiamento ipercritico, distante, dunque autoritario, vede un unico “modo giusto” di lavorare, si mostra rigido nell’accettare punti di vista diversi: “fa il capo”; oppure all’inverso si mostra estremamente tenero, grande amico di tutti, incapace di proporre il ”no”, come semplice punto di vista libero, autorevole e diverso.

In entrambi i casi questi leader non sono un punto di riferimento forte e certo, capace di indicare una direzione chiara e solida, fondamentale per un’adeguata crescita aziendale.

Finché il conflitto sarà la modalità di espressione nei rapporti lavorativi potremo solo “fare”e non “essere”. Questo non vale solo per chi ricopre formalmente il ruolo di responsabile, ma anche per tutti i dipendenti e collaboratori che ogni giorno sono chiamati a svolgere con responsabilità il proprio lavoro indipendentemente da ruoli e gerarchie.

Se viviamo rapporti di condivisione, collaborazione e intesa, esprimiamo allora la nostra identità nei rapporti lavorativi e realizzeremo un modo di lavorare pienamente soddisfacente e ogni giorno più innovativo.

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