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Ci sono pazienti che sentono il nutrizionista un confidente personale e gli raccontano la propria vita per filo e per segno. 

Altri che si focalizzano solo sul piano alimentare, e fanno mille domande tecniche. 

Altri ancora si scordano di richiamare e spariscono per mesi. Poi si ripresentano. 

Ci sono pazienti che raccontano alla psicologa di voler iniziare una dieta ma di non riuscirci. 

Altri che prima o dopo la seduta di terapia mangiano sempre qualcosa.  

Alcuni, invece, dicono di sentirsi a disagio quando devono mangiare con qualcuno. 

Tante sono le situazioni, le persone che ci troviamo ad ascoltare, ma quando i pazienti parlano del loro rapporto con il cibo, sia in ambito nutrizionale che psicologico, ci dicono sempre tantissimo. Non raccontano solamente di qualcosa di quotidiano e contingente. Mostrano invece qualcosa di significativo, legato profondamente alla loro vita, alla loro storia personale, ai loro rapporti, qualcosa che è importante comprendere e tenere presente. 

Dietro al desiderio di fare una dieta, al cioccolatino prima di andare a dormire, dietro all’alimentazione in generale c’è, infatti, un mondo. Un mondo di paure, di insicurezze, ma anche di speranze e cambiamenti, una storia che ha inizio sin dalla prima infanzia: la storia tra il paziente e il cibo, tra il paziente e chi lo ha nutrito e ha mangiato con lui, tra il paziente e il proprio corpo. 

Sono storie che a volte entrano prepotentemente nel nostro studio, perché ce le raccontano in cerca di risposte; che altre volte invece rimangono più nascoste, in attesa di essere viste e capite.

Sia in quanto psicologi che in quanto nutrizionisti, sapere che il cibo ha un significato affettivo, afferrare il senso di un comportamento, di una comunicazione che il paziente dà, può aiutarci ad entrare in sintonia con chi abbiamo davanti, ad orientare meglio il nostro lavoro, a diventare un punto di riferimento. 

A seconda delle nostre competenze e della nostra professione, questo orizzonte più ampio sul senso del cibo ci porterà a rispondere al paziente in modo nuovo e diverso: in qualità di nutrizionisti, riusciremo a non appiattire lo sguardo alle sole problematiche materiali raccontate, intuendo la necessità di non sottovalutare la storia personale ad esse legate; in qualità di psicologi, al di là delle problematiche più patologiche, cercheremo di approfondire le parole del paziente legate al mangiare, per restituirgliene il significato all’interno di una cornice di senso più ampia e profonda.