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Come professionisti della nutrizione dobbiamo sempre considerare che ogni cambiamento alimentare che chiediamo al paziente agisce non solo sul corpo, ma, congiuntamente, anche sulla psiche, smuovendo nel paziente un cambiamento tanto esterno quanto interno. 

Il corpo riflette infatti la storia di vita del paziente, che spesso arriva da noi con un passato difficile alle spalle, un passato in cui i rapporti affettivi sono stati deludenti e in cui la sofferenza vissuta per non essere stato visto né compreso lo ha portato a difendersi e a costruire così una corazza corporea e psichica. In questa corazza sono rimaste intrappolate le realtà valide e vitali del paziente.

Ogni cambiamento alimentare presenta, di conseguenza, delle complessità ma anche delle potenzialità. Da una parte, aiutare il paziente a “rompere il ghiaccio” della corazza è certamente difficile,  perché quando si rompe il ghiaccio riemergono dolore, angoscia, rabbia. Per combattere lo stato di mal-essere sempre presente, che riemerge quando noi professionisti indirizziamo i pazienti verso la possibilità di realizzare un cambiamento, le persone si difendono in diversi modi: mangiando, ovvero esprimendo la rabbia;  vivendo uno stato depressivo, esprimendo quindi l’angoscia, oppure per “i più esperti delle difese” annullando le proprie sensazioni, sintomatologie comprese, credendo così di vivere uno stato di benessere. 

Dall’altra parte però, anche grazie al rapporto fondamentale con il professionista, i pazienti riescono a ricontattare anche la loro parte valida, ovvero quella parte di sé autentica e vitale che era rimasta “intrappolata” nella corazza difensiva e che costituisce la base del cambiamento e della possibilità di ritrovare il benessere vero e reale.

Il professionista sanitario, se vuole intervenire con una visione integrata e realmente trasformativa, deve riconoscere tutto questo ed essere consapevole che la sofferenza che il paziente esprime, che sia con la rabbia, con l’angoscia o con l’indifferenza, nasconde tutti quei desideri delusi e non corrisposti che ha timore di riportare a galla proprio per la paura che siano nuovamente non visti, non compresi, non amati.

Quando si rompe il ghiaccio, riemerge dunque non solo il mal-essere ma anche la vitalità, quel tesoro nascosto nella corazza di ghiaccio, tesoro che il paziente pensava di non poter più contattare né vivere, e che invece è l’elemento più importante per poter realizzare un cambiamento interno ed esterno, che sia reale e duraturo. 

Ecco perché è importante rompere il ghiaccio della corazza che il paziente ci porta, non certo per far rivivere l’angoscia e la rabbia, ma perché sappiamo che è l’unico modo per ritrovare la vitalità nascosta e dare davvero inizio alla cura.

Dott.ssa Dafne Di Gennaro, biologa nutrizionista