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Dietro la gelosia dell’Otello

Uno dei più grandi capolavori della letteratura mondiale è l’Otello di William Shakespeare, tragedia in cinque atti risalente all’inizio del Seicento, incessantemente rappresentata e ancora oggi incredibilmente moderna. Si è soliti parlare dell’Otello come della “tragedia della gelosia” e il suo protagonista, il moro a servizio del doge di Venezia, viene generalmente ricordato come colui che uccide Desdemona, sua moglie, poiché accecato da questo devastante sentimento. Questo è un aspetto fondamentale dell’azione drammatica ma racconta solo una parte del messaggio che questa prestigiosa opera porta con sé. Cerchiamo di capire allora qual è questo messaggio e in cosa consiste la sua modernità.

Siamo a Venezia. I protagonisti del dramma sono Otello, Jago, suo alfiere, e Desdemona, figlia del senatore veneziano Brabanzio e sposa di Otello. Personaggi laterali, ma nient’affatto secondari, sono Cassio, luogotenente di Otello, ed Emilia, moglie di Jago al servizio di Desdemona. Dopo essere uscito indenne da un processo che lo voleva colpevole di omicidio, Otello, sposatosi in gran segreto con Desdemona e della quale si dice profondamente innamorato, viene inviato dal Doge a Cipro per affondare i Turchi. A Jago, del quale si fida ciecamente, Otello affida Desdemona e i due raggiungono Cipro di lì a poco.

Mosso da un moto di risentimento verso Otello e Cassio a causa della promozione di quest’ultimo a luogotenente, Jago mette in atto una strategia lenta, mirata e guidata da una sua convinzione, a mio avviso chiave: “Ma per fortuna abbiamo la ragione a raffreddarci le bramose voglie, gli impulsi della carne, le libidini; delle quali ciò che tu chiami amore è soltanto un pollone od un germoglio. Io la penso così”.

Il cinismo e la ragione come strumenti di spegnimento della sessualità umana sembrano essere gli ingredienti fondamentali che Jago usa per compiere il piano di insinuare dei dubbi nel suo superiore o, come dice, di “avvelenare l’orecchio di Otello”: vuole fare in modo che Otello creda che Desdemona lo tradisca con Cassio e che ceda alla gelosia. “Guardatevi bene”, avverte Jago, “mio signore dal cader preda della gelosia: è il mostro verde-occhiuto che si beffa del cibo onde si pasce”.

La ragione e il calcolo, d’altronde, si fondano solo ed esclusivamente sui fatti, sulle prove materiali, sono diametralmente opposti al sentimento d’amore, mosso invece da una realtà affettiva. Anzi, lo polverizzano. Otello è inizialmente reticente alle insinuazioni di Jago ma si lascia dissuadere in pochissimo tempo, in quello stile shakespeariano che va subito al cuore delle cose: “No, no, tu devi darmi una ragione che sia vivente, palese, palpabile, che mi convinca ch’ella m’è infedele!”, rivendica Otello.

Il passo che separa l’adorazione di Otello per Desdemona dalla sua denigrazione è altrettanto breve: da madonna a prostituta, senza mezze misure; è inoltre condito da un linguaggio, che accomuna i protagonisti maschili del dramma, denigratorio e, appunto, legato alla mera dimensione materiale della sessualità: “la farò a pezzi”, “Lussuriosa bagascia! Sia dannata!”, per citare alcuni esempi testuali.

È qui che i due si agganciano ed è così che Jago può mettere in atto uno stratagemma perfetto, seppur banale nella sua architettura: Jago fa in modo che un fazzoletto che Otello aveva donato a Desdemona come pegno d’amore finisca nelle mani di Cassio. Questa è la prova materiale, architettata ad arte, a causa della quale Otello cede alle insinuazioni di Jago: senza parlarne con Desdemona, senza nutrir nessun dubbio, senza informarsi da Cassio, senza guardarsi dentro, Otello non vede più la donna, la moglie che ha scelto e che ha voluto per sé, ma solo un oggetto traditore, menzognero, deprecabile.

Incapace di fare appello ad un sapere umano, a degli occhi non solo fisici ma anche affettivi che permettono di vedere e leggere chi si ha davanti, ad un affetto che incontra e riconosce la natura degli affetti dell’altro, cieco ad una verità umana che si svela nel rapporto, si affida invece ad una realtà materiale e concreta, una prova tangibile ma creata dalla lucida e anaffettiva razionalità di chi quella realtà affettiva la conosce ma cerca inesorabilmente di distruggerla negli altri perché non può più sentirla dentro di sé. È l’invidia.

Dall’altra parte c’è Desdemona che, innamorata di Otello, subisce passivamente gli eventi e le parole furiose e piene di allusioni di suo marito. Nessuno dei due ascolta Emilia, moglie di Jago e fedelissima serva di Desdemona, l’unica che cerca di aprire gli occhi ad Otello – chiarendogli che sua moglie è onesta e fedele – e di pungolare la passiva Desdemona. Una volta che il piano di Jago va in porto, Otello sfiducia Cassio, che nel frattempo era stato coinvolto in una rissa per via dell’ennesima opera sotterranea di Jago, e picchia la moglie: la sua rabbia prende il largo e si trasforma progressivamente in un atto lucido e consapevole. “Nel tuo dire non sento le parole, ma la violenza” – sono queste le parole di Desdemona che, oltre alla gelosia, sente altro: una violenza ormai incarnata in Otello che non è “irrazionale”, ma trascende lucidamente le parole e di fronte alla quale non c’è sentimento, affetto, amore che tenga: “il mio cuore si è tramutato in pietra”, ammette, “se lo percuoto mi duole la mano”. Otello cambia, non si trasforma ma involve, senza il suo cuore non è più lui, perde il suo essere, dimentica la sua umanità, cancella la sua realtà affettiva.

Nella parte finale della tragedia, i dialoghi tra Otello ed Emilia e quello tra Desdemona e Jago non danno l’effetto sperato. Otello, infatti, non crede alle parole oneste di Emilia che cerca di metterlo in guardia rispetto al marito, Desdemona non comprende la vera natura di Jago che, nel tentativo di placarla dopo lo schiaffo subito, le dice “è uno scoppio d’umore passeggero”: un’affermazione con la quale, ancora oggi, si giustificano omicidi efferati.

Al contrario di prima, quando la fretta la faceva da padrona, l’omicidio avviene molto lentamente: Otello si avvicina a Desdemona, la osserva, lascia che si svegli, che si renda conto di ciò che accade, le dice che la sta per uccidere, le intima di confessare i propri peccati e infine la strangola. L’azione non è rapida, ma lenta. Non è irrazionale, ma organizzata.

Quello di Otello, dunque, non è un raptus omicida, né la pazzia di un momento, e questo perché il suo atto rivela una certa lucidità: ciò che viene meno è piuttosto la realtà affettiva che, dall’inizio dell’azione, si dirada progressivamente rendendo disumano il protagonista per poi, come in una lenta consumazione, scomparire alla fine della tragedia. Dopo l’omicidio Otello viene subito redarguito da Emilia che, addolorata per la morte della donna, lo insulta mentre dice tutta la verità e viene pugnalata da suo marito. Ed è la seconda donna, peraltro moglie, ad essere uccisa. Solo a questo punto Otello rinviene e si rende conto di tutto ma è troppo tardi e l’unico esito potrà essere darsi la morte.

Già nel Seicento in quell’età barocca in cui le arti raccontavano e raffiguravano le luci e le ombre dell’umano, Shakespeare ci diceva qualcosa di molto importante: le ombre, gli omicidi, le aggressioni, gli inganni, non sono raptus momentanei, follie di un momento ma l’esito di una vita costellata di assenza e anaffettività.  Una storia in cui sembra che l’unico modo per difendersi dalla disumanità sia diventare a propria volta disumani, sia negare l’esistenza di una realtà affettiva in se stessi e negli altri che, colpiti, finiscono per perdersi e cedere alla stessa disumanità.

Dietro la gelosia di Otello, dunque, c’è l’invidia di Jago.

 

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