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“Ti sei mai chiesto perché la gente si interessa all’arte? Perché è l’unico segno del nostro passaggio sulla terra” 

(dal film “Quasi Amici”)

Penso sia interessante domandarsi come mai teniamo tanto alle reliquie del passato, monumenti, quadri, statue, utensili, oggetti che, di per se, non avrebbero alcun valore, se non per il fatto di appartenere ad un’epoca precedente alla nostra, per essere una “parte di storia”, ricordo di un passato che, in teoria, non ci è mai appartenuto.

Ma è veramente così? Se il passato dei nostri antenati, quello che non abbiamo vissuto di persona, non ci appartenesse, se non fossimo in grado di ricordare le conquiste, le trasformazioni e le realizzazioni di chi è venuto prima di noi, l’essere umano sarebbe costretto in eterno a ricominciare dagli albori della sua specie, ad apprendere continuamente come accendere un fuoco, starebbe ancora provando a scaldarsi con le pellicce di Mammuth e ad intraprendere balli sperando nell’arrivo della pioggia.

Questa è, infatti, la magia e l’essenza dell’essere umano, la memoria non mnestica, ma affettiva, che ha permesso all’umanità di evolvere, crescere, trasformarsi, è la memoria che ci permette di mantenere dentro di noi una realtà che non esiste più materialmente. Questa memoria, queste immagini impresse in noi, di conseguenza, non sono solo ciò che permette all’essere umano di evolvere nel passare di giorni, mesi, anni, secoli, ma anche ciò che rende ognuno di noi unico ed irripetibile, è la nostra storia, la nostra identità, è il bagaglio di rapporti passati in cui ci siamo sentiti visti e riconosciuti e attraverso i quali ci siamo realizzati, ma è anche l’insieme di tutte quelle volte in cui, al contrario, siamo stati delusi, in cui abbiamo creduto di aver perso una parte di noi.

Lunedì 15 aprile la cattedrale di Notre-Dame è stata sommersa dalle fiamme finendo per rimanere in buona parte distrutta; nessuno è morto e parte del monumento è stato salvato, ma l’aria che si è respirata era aria di lutto, ovunque ci si girasse c’era qualcuno che parlava di Notre-Dame, che ne sentiva la mancanza, che la ricordava nei suoi viaggi, che la inseriva nei suoi sogni nel cassetto, e che era profondamente turbato.  Ancora oggi, nonostante l’incendio sia stato domato e la cattedrale sia ancora in piedi, seppur non nella sua interezza, la sensazione che rimane è che le fiamme continuino ad ardere dentro, che la guglia continuerà a cadere e ricadere, che non sentiremo più il richiamo di quelle campane, che, alla prima occasione, quel fuoco sarà di nuovo pronto a distruggere tutto, spazzando via ciò che un tempo c’era e che ora non c’è più;  in noi rimane un vuoto, o almeno così ci sembra: un pezzo di storia, nove secoli di memorie dell’umanità, sono andati distrutti e, forse, crediamo crediamo che sia andata distrutta anche la nostra di storia.

Ho conosciuto per la prima volta Notre-Dame tramite gli occhi di Esmeralda, la donna libera che esprime desideri, sessualità, possibilità di aprirsi e rapportarsi con l’altro, di fare l’amore, al di là di ogni diversità. La zingara che balla per le strade, che si muove con i suoi affetti ritrovando la sua casa in altri luoghi e che incanta e ammalia perché è vera, affettiva.  Un essere umano che incarna una bellezza che va al di là dell’esteriorità e che si contrappone alla rigidità degli schemi, alla correttezza razionale del potere, alla moralità, alla castrazione delle possibilità umane di nascere, crescere e vivere ogni giorno con la speranza di essere sempre diversi, più grandi, sempre più noi stessi e con la certezza di voler lottare e dare la vita per la libertà del pensiero autonomo che è libertà di essere quello che realmente siamo senza essere contro, senza essere in conflitto, è libertà che esprime “solo” i nostri affetti, la nostra storia, i nostri rapporti.

Notre-Dame, simbolo di storia, patria, antichità preziosa ed unica, sembra essersi sgretolata improvvisamente e, dentro di noi, qualcosa si squarcia non solo per il dispiacere di un’opera d’arte rovinata, ma anche perché quella nostra parte antica e preziosa, quel mondo di affetti che ci appartiene ancora prima di nascere, spesso pensiamo di averlo perso anche noi, pensiamo di aver perso la nostra parte di “Esmeralda” di rapportarci, recepire ed esprimere affetti al di là delle barriere, dei vincoli della ragione.

Allora se la storica cattedrale tante volte trasformata, modificata, anche ricostruita nel tempo, proprio durante un’ultima restaurazione si danneggia, possiamo pensare anche noi che dietro i tanti cambiamenti che siamo chiamati ad affrontare nella nostra vita, sia nascosto un grande rischio, forse inevitabile: quello del crollo.

Quel crollo, quel vuoto, quel bruciare rimanda forse alle nostre immagini di vita che fin da bambini abbiamo fatto scomparire, rimosso perché gli adulti ci hanno lasciato soli ad affrontare i momenti difficili della nostra vita e noi per paura di perderci per l’angoscia abbiamo annullato, reso vuoto, quel passo, quei passi, i tanti passi della nostra esistenza rendendoci rabbiosi, prima, e indifferenti, poi, agli altri e a noi stessi. Notre Dame, come patria, patria della nostra storia che brucerà ancora e ci porterà ineluttabilmente a sentirci sempre più scollati da noi stessi e dal mondo.

Eppure, l’arte vera, che è espressione di sé stessi, di sentimenti, identità e libertà, rimane nei secoli e trascende le dimensioni di tempo e spazio, collegandosi alla parte più profonda dell’essere umano, a quella memoria non mnestica, a quel sentire inesauribile, a quel mondo di affetti che permette di vivere e crescere. Allora tutto questo, nonostante il danneggiamento materiale, è possibile ritrovarlo nella Notre-Dame che ancora c’è, portarlo con noi come ricordo di sensazioni, emozioni, affetti, vissuti, che resistono alle fiamme, alla paura del crollo e della perdita di tutto.

Allo stesso modo anche il nostro mondo interno antico e prezioso, che è la nostra storia, il nostro essere nati liberi, affettivi, possiamo ritrovarlo come un sentire di tutti ma nostro che non si consuma bruciando, ma ritrova la sua melodia e va alla ricerca di una melodia corrispondente; un sentire che, non può che farci da guida nei momenti tanto importanti quanto difficili che siamo chiamati ad affrontare, non facendoci perdere, domando quelle fiamme, aiutandoci ad alzarci quando cadremo e ricadremo, facendoci seguire il richiamo di quella musica che ci parla di un tempo che c’era e che sarà sempre impresso nella nostra storia. Un inno alla libertà, anche quando costa la vita per non soggiacere al potere, che ora, se possiamo ricordare, batte un ritmo differente e ugualmente bello, accordandosi a tutte le infinite e straordinarie variazioni della nostra crescita fin dalla nascita e, ancor prima, dal concepimento.

“Esmeralda” è, dunque, un invito a non perderci in quella Notre-Dame che si fa prigione quando lasciamo che le fiamme divampano, cancellando le nostre parti più preziose, ma a ritrovare la nostra Notre-Dame intesa come dimensione antica, affettiva, creativa, evolutiva; è capacità di esprimere sé stessi, di non perdere ciò che non c’è ma tenerlo sempre con noi per crescere e trasformarsi nonostante a volte la vita sembra metterci davanti a crolli irreparabili, per esprimere un’affettività sempre più profonda, capace di vedere al di là di ciò che appare, sempre più vera.

Jessica Cortini

Dafne De Gennaro