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Paziente impaziente o medico assente? Storie di ordinaria… sostituzione

Ciao, sono Elena, vi racconto una storia…

Stavo sostituendo una dottoressa presso uno studio di medicina di base durante il mese di agosto. Roma quasi deserta, caldo tropicale, non vedevo l’ora di tornare a casa per riposare dopo una lunga giornata di lavoro.

Chiama una signora al telefono per richiedere delle ricette, ha un tono molto indisponente e autoritario. Poiché sto visitando un paziente, le dico di passare direttamente a studio così mi avrebbe spiegato con calma i farmaci di cui necessitava e ci saremmo potute conoscere di persona.

La sala d’aspetto è vuota e quando suona alla porta mi presento e la faccio accomodare direttamente nello studio. E’ una signora sulla settantina, ben curata nell’aspetto. E’ appena passato ferragosto, colgo quindi l’occasione e, per rompere il ghiaccio, le chiedo come fossero andate le vacanze. 

Lei di tutta risposta: “Malissimo dottoressa!!”

 

Le chiedo : “Come mai signora, si è sentita poco bene?”

 

Lei mi dice: “No no dottoressa! Sono andata in un albergo in una località di mare dove sono stati molto maleducati e lei non può capire cosa mi è successo! Ogni mattina facevo colazione in un tavolo vicino alla finestra quando, il terzo giorno di vacanze, mentre scendo le scale per andare nella sala da pranzo comune, vedo che una coppia ha occupato il mio tavolo e ho dovuto fare colazione in un altro posto… ma io dico secondo lei è giusto? Ci si comporta così?…”

Confesso che dentro di me ho subito pensato “Signora mia, prendersela per così poco! Molto probabilmente né i camerieri né la coppietta potevano sapere che il tavolo fosse “riservato” a lei. Non ci si può arrabbiare per questo e con sincerità vi dico che il mio primo istinto fu quello di etichettarla come rigida ed intollerante.

Abbiamo continuato a parlare, smetto per un attimo di scrivere le impegnative per i farmaci che doveva prendere e mi fermo ad ascoltarla. Poco a poco, con un tono di voce totalmente diverso dalla telefonata che mi aveva fatto a studio un’ora prima, mi racconta la sua storia: ha perso un occhio quando era piccola per la negligenza di un medico, per un’infezione non curata e così come lei, anche suo fratello porta le conseguenze di un episodio di malasanità. È stata amata immensamente da suo marito che da qualche anno non c’è più.

Mi dice: Dottoressa mi creda…io ero bella da giovane ma non avevo un occhio e di questo a mio marito non è  mai importato niente! Mi ha fatto sempre sentire speciale, non mi ha mai fatto mancare nulla. Vede…mi compro degli occhiali da sole scuri che non fanno vedere niente, ne ho di tanti modelli e di vari colori…”.

Sono commossa dalla sua storia e, mentre la signora parla, mi rendo conto della MIA “CECITÀ”, del mio non essermi accorta dei suoi occhiali da sole scuri, del fatto che non se li sia tolti appena entrata in studio, del mio giudicarla senza conoscerla.

Nella stanza non c’è più l’aria tesa che si respirava all’inizio della visita, ci sono momenti di silenzio pieni, in cui le sto accanto con partecipazione ed interesse. Ci prendiamo del tempo per condividere, senza la fretta e l’ansia di dover dire o fare qualcosa.

Finisco di compilare le ricette e cerco le parole giuste per comunicare quello che sento, consapevole che al di là di ciò che avrei potuto dire per consolarla per il suo dolore, la signora aveva già sentito il mio affetto.

Ci salutiamo e ci auguriamo ogni bene reciproco.

“Cosa sarebbe successo se mi fossi fermata al mio pregiudizio iniziale, senza concedermi la possibilità di scambiare due parole con la signora?”

So perfettamente cosa sarebbe successo: avrei continuato a sentirmi aggredita dalle sue parole, avrei risposto con educazione ma senza una sincera disponibilità alle sue esigenze. Una volta lasciato lo studio sarei rimasta con una sensazione di nervosismo che mi avrebbe impedito di continuare il lavoro con serenità e mi avrebbe accompagnato fino al mio rientro a casa.

Invece, dopo un iniziale blocco nella comunicazione, ho scelto di aprirmi al rapporto con lei, dandomi la possibilità di andare oltre le prime e facili impressioni. Spero che la signora, quella sera, sia tornata a casa con molto  più che tre impegnative rosse… Forse un sorriso, forse tanto altro.

Io conservo un ricordo speciale di quella “visita medica di Agosto” e spero che questo racconto possa essere di aiuto a chi, come me, vive queste realtà.

Qualcuno potrebbe obbiettare che con lo studio medico vuoto e senza pazienti in attesa è facile prendersi del tempo per parlare, eppure avrei in ogni caso potuto scegliere di non ascoltarla, liquidandola in pochi minuti, o ancor peggio avrei potuto dedicarle del tempo fingendo  una “cortese attenzione”, in entrambi i casi il risultato sarebbe stato lo stesso: la mia totale assenza in quel rapporto umano.

HO SCELTO LA PRESENZA, HO SCELTO IL RAPPORTO.

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