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Oltre le immagini della televisione

“Sistema di telecomunicazione destinato alla trasmissione immediata a distanza, per mezzo di un cavo elettrico o di un radiocollegamento, di immagini non permanenti di oggetti fissi o in movimento.”[1]

Per decenni, da quando la televisione ha fatto il suo ingresso nelle nostre case fino ad oggi, è rimasta viva la discussione: conoscenza e divertimento o imbonizione e passività?

La tv è passata da essere vista come possibilità di conoscere, scoprire, divertirsi, crescere, condividere, immaginare e sognare, a venire considerata strumento di bassezza culturale, apparenza, finzione ed esaltazione di modelli negativi che, invece di stimolare il pensiero, lo anestetizzano.

Oggi parliamo di tv e, non solo, banalmente, perché è la giornata mondiale della televisione, ma perché da mesi in un contesto già confuso e contraddittorio, questo strumento è salito alla ribalta diventando, insieme ad internet, ancora più centrale e di conseguenza ancora più discusso.

E, anche se potrebbero esserci molti argomenti più seri, impegnati, utili da trattare, crediamo in realtà che anche questo possa fornirci una chiave di lettura del periodo così preoccupante e surreale che ormai da mesi viviamo. Siamo nel bel mezzo di qualcosa di epocale, una pandemia globale che ha modificato il modo di pensare, sentire e vivere e, in tutto questo, l’informazione e la comunicazione a vari livelli (istituzionale, sociale, politica, informativa, di intrattenimento), sono state e sono tuttora centrali.

Anche qui torna la dicotomia: da una parte, durante mesi di chiusura e impedimento di vivere rapporti ed esperienze dirette questa “scatola magica” è stata possibilità di intrattenimento ed evasione, di divertimento e svago, ma anche collegamento al mondo esterno, dall’altra strumento di informazione, durante gli imperdibili appuntamenti con le conferenze stampa del Presidente del Consiglio, i bollettini giornalieri della Protezione Civile, i dibattiti dei virologi più o meno accreditati.

 “Meno male che c’è Netflix”, “Ho visto tantissimi film per passare il tempo”, “Non ce la faccio più a guardare il bollettino delle 18”, “Quando Conte annuncia una conferenza stampa mi viene l’ansia”, “Ormai la tv non la guardo quasi più, troppe brutte notizie”.

Queste frasi, apparentemente banali e sentite o dette molte volte, fanno emergere qualcosa di estremamente importante e molto spesso trascurato, che può aiutarci a fare chiarezza nel ginepraio assolutista del “televisione sì/televisione no”. Forse quello che scegliamo, sentiamo e viviamo guardando la tv non dipende solo dall’offerta e dalla programmazione, ma anche da noi, da quello che viviamo, da come ci sentiamo, ed è estremamente legato a quello che viviamo e sentiamo, ai nostri pensieri, ai desideri, alle speranze.

Questo ci conduce verso una lettura, anzi una visione, diversa: quando guardiamo la televisione non siamo semplici spettatori passivi di qualcosa, anche se mediato dalla distanza fisica e dai mezzi tecnici che impediscono a questo rapporto attore/conduttore – spettatore di essere diretto, si instaura un legame, una connessione, una risonanza. E c’è un motivo se scegliamo di vedere una cosa piuttosto che un’altra, o se uno specifico contenuto preferiamo guardarlo in un preciso momento della giornata o della settimana.

Ce lo dice la definizione del sempre puntuale vocabolario Treccani, la tv trasmette “immagini in movimento”. E di nuovo, sembra banale ma non lo è. Le immagini sono qualcosa di fisico, concreto ma al tempo stesso vago e indefinito, sono quelle che vediamo fuori di noi ma anche quelle che nascono dentro di noi in risposta a quello che percepiamo, osserviamo, sentiamo, che poi elaborate e comprese profondamente, si trasformano e diventano pensieri: non mere ripetizioni di quello che esperiamo ma contenuti nuovi stimolati dalla nostra percezione ed esperienza del mondo ma poi plasmati dentro di noi come qualcosa di diverso ed irripetibile.

Il desiderio di conoscere, di incontrare, di condividere fa sì che quando accendiamo la televisione non ci stiamo semplicemente e apaticamente predisponendo ad un “trattamento Ludovico” dalle tinte più o meno fosche, ma stiamo scegliendo attivamente di soddisfare o meno questo nostro desiderio. La differenza sta qui: se incontriamo un contenuto creato e raccontato da persone mosse dallo stesso desiderio di incontro e scambio, la visione di una serie tv, un talk show, un telegiornale  o un film può diventare l’incontro con quelle immagini in movimento che, recepite, quello stesso movimento lo fanno nascere in noi; non un movimento fisico ma affettivo, di altrettante immagini che, insieme, fanno nascere un pensiero di cambiamento, una conoscenza nuova, una soddisfazione maggiore, danno un senso a quell’esperienza apparentemente banale ma che ci rende diversi da come eravamo prima di scegliere il canale, più ricchi, più pieni, più vivi.

Eppure c’è un’altra storia, in cui quello che vediamo, che scegliamo di vedere a dirla tutta, quei desideri sembra toglierceli, visioni statiche e scialbe, addirittura svilenti. Sempre immagini in movimento, apparentemente, ma in realtà statiche, perché non producono alcuna reazione positiva e creativa in noi, anzi portano alla stasi, al non-pensiero, sull’onda della falsa e tendenziosa convinzione che l’intrattenimento o l’informazione, non siano soddisfazione di desideri ma riempimento di un tempo vuoto, non siano espressione che permette la creazione di pensieri ma visione passiva o trasferimento apatico di dati e informazioni.

A decidere non è la televisione, siamo noi che dobbiamo scegliere e farci raggiungere da quelle immagini in movimento che fanno nascere altre immagini e pensieri e desideri.

Non è la magia della tv, è la magia dell’essere umano: cogliere e scambiare realtà affettive anche dove, apparentemente, non ci sono.

 

[1] https://www.treccani.it/enciclopedia/televisione/

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